Семь лет назад был убыт Слободан Милошевич просмотров: 1251
L’ 11 marzo 2006 in una “prigione democratica” moriva il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic. Il suo destino rappresenta una evidente lezione per tutti coloro che sono disposti a credere alla lettera all’Occidente, per tutti coloro che sono pronti a scendere a compromessi. Mohamed Gheddafi, anche lui si sforzava di trovare un accordo nel 2011, ed era ancora leader indiscusso della Libia quando Slobodan Milosevic cedette e iniziò a trattare. Le truppe serbe furono ritirate dal Kosovo. In segno di “riconoscenza” un territorio serbo da sempre, il Kosovo, sotto protettorato USA e NATO dichiarò la propria indipendenza. Milosevic fu consegnato dai liberali serbi, appena arrivati al potere, al tribunale dell’Aia per la resa dei conti. Il suo atteggiamento coraggioso in tribunale portò all’impossibilità di dimostrare ciò che veniva richiesto, e cioè scaricare sui serbi e sul loro presidente tutte le colpe possibili. Non riuscendo a spezzare Milosevic e non potendo dimostrarne la colpevolezza, all’Occidente non rimaneva altro da fare eccetto quello che poi fu fatto. Liberare e assolvere Milosevic non era possibile, incolparlo non si era in grado. L’unica soluzione restava ucciderlo in carcere. Ed è quello che si è verificato. Sottopongo alla vostra attenzione la deposizione di un testimone oculare del processo. Il materiale pubblicato è stato preparato dal professor Aleksandr Borisovic Mezjaev, titolare della cattedra di diritto costituzionale e internazionale all’Università “TISBI” di Kazan’, che prese personalmente parte al giudizio, dalla parte di Slobodan Milosevic, al tribunale dell’Aia per l’ex Jugoslavia.
L’11 marzo del 2006 fu assassinato il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic. Sono in molti a presumere che la sua morte non sia stata un fatto casuale. La nostra inchiesta ha dimostrato che ci sono conferme dirette del fatto che sia stato commesso un omicidio, e il tribunale internazionale dell’Aia per l’ex Jugoslavia (ICTY) ha partecipato a questo delitto. Ancora più sorprendente è che queste conferme si trovano nei documenti ufficiali del tribunale stesso. L’11 marzo del 2006 il tribunale comunicò che Slobodan Milosevic era stato “trovato morto nella sua cella”. Il giorno seguente fu reso noto che l’autopsia, eseguita dagli anatomopatologi olandesi del tribunale sotto l’egida della procura, dimostrava che la morte era sopraggiunta per infarto del miocardio. Infine, il 14 marzo, su risoluzione della corte furono chiusi del tutto sia il processo giudiziario sia il caso nel suo complesso. In questo modo il tribunale dell’Aia tentò di concludere un processo che si trascinava da quasi sette anni. Ma era troppo presto per mettere un punto alla vicenda. Fra non molto sarà necessario sollevare la questione dell’apertura di un nuovo caso contro il tribunale dell’Aia, poiché siamo in possesso delle più ampie prove che l’ICTY organizzò e mise in atto l’omicidio di uno dei suoi imputati. Occorre innanzitutto rilevare che la dichiarazione di morte per “cause naturali” di Milosevic non corrisponde alla realtà. La versione ufficiale definitiva della procura dell’Aia parlava di morte per infarto del miocardio. Tuttavia questa conclusione è del tutto insufficiente e, quel che più conta, non equivale affatto a un decesso per cause naturali. Bisogna ammettere che l’ICTY aveva motivi estremamente seri per uccidere Milosevic. Già nel 2003, quando osservavo il corso del processo nell’aula del tribunale dell’Aia, cominciai un po’ per volta a convincermi che l’esito finale sarebbe stato la morte dell’imputato. La causa principale per cui il tribunale aveva interesse alla morte di Milosevic consisteva nell’assoluta inconsistenza delle prove contro di lui. Già nella costruzione dell’impianto accusatorio fu chiaro che la procura stava architettando il suo schema sulla base di fatti che non corrispondevano alla realtà. Precisazione importante: la procura era preventivamente a conoscenza della falsità di questi fatti, cioè della falsificazione delle prove d’accusa. Posizione resa ancor più grave dal fatto che per provare l’impianto accusatorio furono confezionate false testimonianze. E la presentazione di informazioni mendaci per provare false accuse trasformarono il processo in una farsa. Di fatto la procura andò a infilarsi in un vicolo cieco e il processo crollò fin dalla primissima fase. Il secondo fattore a indirizzare il processo proprio verso questo epilogo, è stata la strategia difensiva dello stesso Milosevic. Una strategia che, a buon diritto, si può definire mortale. Milosevic poteva scegliere fra due linee strategiche: 1) Una tradizionale, utilizzata dall’assoluta maggioranza degli imputati nei processi ordinari e, in particolare, al tribunale dell’Aia che, bisogna ammettere, avrebbe potuto mantenere la speranza per Milosevic di rimanere in vita. E’ la strategia di difesa personale che si sviluppa più o meno così: “non ne sapevo niente”, “mi hanno informato male”, “personalmente non ho dato ordini” eccetera. Avesse scelto questa linea, Milosevic sarebbe stato custodito come un pupillo dal tribunale dell’Aia, a cui l’imputato Milosevic sarebbe tornato utile. In presenza di false prove la sua incriminazione non sarebbe stata più un affare così complicato. Tanto più che la metà dei testimoni d’accusa era stata tenuta segreta, poiché il tribunale si era preparato un’uscita di sicurezza per sostenere il peso di una condanna illegale, basata su deposizioni sconosciute a tutti tranne che ai giudici stessi! 2) La seconda linea consisteva non solo nel dissociarsi dai crimini ascritti, ma nel dimostrare chi questi crimini li aveva commessi. L’inizio della fase difensiva del processo, nell’agosto 2004, diventò la catastrofe definitiva per l’ICTY. Oggetto del discorso era diventata non tanto la colpevolezza o meno di Milosevic bensì cosa fare delle prove incontrovertibili su come fosse stato organizzato e messo in atto uno dei più eclatanti crimini internazionali, e cioè la distruzione dello stato jugoslavo. Chi allora assisteva attentamente al processo non poteva non accorgersene: Milosevic veniva giudicato perché costituiva l’ostacolo maggiore a questo crimine internazionale. E fu chiaro, che il tribunale dell’Aia era una parte del meccanismo di realizzazione di questo crimine. La domanda è: cosa poteva fare l’ICTY in una situazione del genere? Era evidente che non poteva né giudicare Milosevic (sulla base delle norme del diritto), né mandarlo assolto (l’assoluzione avrebbe significato riconoscere le sue ragioni). La morte di Milosevic e l’interruzione di questo pericolosissimo processo risultava obiettivamente essere l’unica via d’uscita. Da quanto ci risulta, l’omicidio di Milosevic avvenne nel seguente modo, creando cioè le condizioni per un pesante aggravamento delle sue condizioni di salute. Dopodiché gli furono negate non solo le cure adeguate per evitare un netto peggioramento della malattia cardiaca, ma anche le analisi necessarie per comporre una diagnosi. E infine, nel momento più critico, il tribunale rifiutò che venissero prestate a Milosevic le cure d’emergenza. E questo nella consapevolezza delle sue critiche condizioni di salute. Il tribunale dell’Aia sottolineava in continuazione che Milosevic aveva a disposizione i migliori medici. E’ un’argomentazione maliziosa. E’ possibile che fossero i migliori medici d’Olanda, ma ecco a quali conclusioni giunsero. Dottor Aarts: “Aterosclerosi – normale fenomeno per un paziente della sua età”. Dottor De Laat: (negli ultimi 6 mesi di vita Milosevic sentiva forti rumori, compressione del capo con perdita parziale dell’udito e della vista) “Le cause della possibile perdita dell’udito non sono chiare. Può darsi che rivesta carattere cardiovascolare”. Tuttavia, si ritiene “necessario l’utilizzo di un apparecchio acustico esterno anziché delle cuffie”! (Come si vede, il dottore per “assicurarsi” indica la possibile causa ma il suo consiglio risulta essere del tutto canzonatorio). Dottor Spoelstra: “supponendo”, che “il paziente utilizzi delle cuffie” (il consulente ignora che il paziente è costretto già per il quinto anno a ricorrere alle cuffie!) propone di risolvere il problema “regolando meglio il volume delle cuffie”. Dottor Falke (medico del carcere): “Ho preso in esame le relazioni dei tre medici e dell’otorinolaringoiatra dell’ospedale di Bronovo. La sua opinione è che il peggioramento dell’udito sia dovuto all’età avanzata. (…) Al momento non si può fare nient’altro”. Il 4 novembre del 2005 su richiesta di Slobodan Milosevic una equipe di tre medici condusse una visita generale. Facevano parte del gruppo i professori Shumilina (Russia), Leclerc (Francia) e Andric (Serbia). La conclusione della dottoressa Shumilina fu oltremodo rigorosa: mise subito in chiaro che si era in presenza di cure non adeguate e che c’era necessità di esami e cure specialistiche. Inoltre mise in guardia che c’era il rischio di gravi alterazioni non solo cardiache, ma anche cerebrali. Al cardiologo Leclerc non fu consentita la consultazione degli esiti delle visite mediche del paziente, da quelle specialistiche fino alle più elementari (rilevazioni della pressione). L’unico esame clinico che gli fu permesso esperire sul paziente, un ECG, diede come responso “gravi anomalie”. Il gruppo di medici nel proprio parere congiunto avvertì il tribunale che “le condizioni del paziente sono gravi e tendono ad un ulteriore peggioramento”. Riferirono della necessità di ulteriori accurate analisi per poter fornire una diagnosi. Riferirono dell’assoluto bisogno di riposo fisico e mentale di Milosevic (almeno 6 settimane) per far recedere o quantomeno stabilizzare il decorso della malattia. Le conclusioni della dottoressa Shumilina suscitarono una grande irritazione. Per la prima volta una perizia medica indipendente confermava davanti a tutto il mondo: la causa del peggioramento delle condizioni di salute di Slobodan Milosevic è una prolungata cura sbagliata, e in genere l’assenza di volontà di curarlo. Ci fu il tentativo di screditare le conclusioni della Shumilina: il medico curante di Milosevic cominciò a cercare attivamente esperti che confutassero la perizia e la procura arrivò addirittura ad alludere che la dottoressa fosse in combutta con Milosevic. Nella sue lettera al tribunale del 14 dicembre 2005, Shumilina affermava che i tentativi di una pletora di medici di svilire la propria perizia sono inaccettabili. Sottolineando che “l’aterosclerosi non è dovuta ai 64 anni di età (come affermato dai medici penitenziari!) ma è la conseguenza di una prolungata terapia sbagliata dell’ipertensione arteriosa”. Mise in guardia una volta di più le autorità del tribunale e della prigione che “l’aspetto cardiovascolare dello sviluppo della malattia non deve essere sottovalutato”. Nel dicembre del 2005 il direttore dell’istituto di Ricerca “Bakulev” per la chirurgia cardiovascolare, professor Bokerja, nella sua lettera al presidente dell’ICTY Pokar ricordava che le condizioni di salute di Milosevic sono “critiche” e di nuovo indicò la causa nella “terapia sbagliata”. Le parole del professor Bokerja non lasciavano alcuno spazio all’interpretazione da parte del presidente del tribunale: “qui si tratta dell’esigenza di impedire un incidente cardiovascolare”. Sempre nel dicembre del 2005 Slobodan Milosevic inoltrò ai giudici una richiesta di scarcerazione temporanea per andare a curarsi a Mosca. Nonostante, però, fossero state rispettate tutte le condizioni necessarie per ottenere la scarcerazione temporanea per motivi di salute, come già accaduto per altri imputati, il tribunale negò l’autorizzazione per le cure urgenti. C’è da osservare che la decisione del tribunale era tanto più illegale, poiché non tenne conto delle garanzie offerte dalla Federazione Russa, limitandosi a declinarle senza nemmeno fornire una spiegazione. Nel 2009 mi capitò di incontrare uno dei giudici che respinse la richiesta di Milosevic di andare a curarsi in Russia – Jan Bonomi (Gran Bretagna). Alla mia domanda su cosa li spinse a ignorare le garanzie russe si rifiutò di rispondere. Una fase fondamentale per la realizzazione del piano di impedimento della scarcerazione consistette nell’accusare provocatoriamente Milosevic di manipolare la propria salute, in particolare, di aggravare artatamente le proprie condizioni per andarsene in Russia e, in tale modo, “sottrarsi al giudizio”. L’analisi di questa provocazione riveste un’importanza significativa poiché evidenzia la “mens rea” (dolo) dei collaboratori del tribunale nel portare a compimento l’atto criminale. A Milosevic venne rivolta l’accusa di non assumere i farmaci prescrittigli e di assumerne altri non prescritti. Alla provocazione presero parte tanto i medici penitenziari, quanto il medico curante di Milosevic, ed ebbe inizio con le note informative con cui il direttore del carcere McFadden e il medico carcerario Falke presero a bombardare il collegio giudicante e la segreteria del tribunale. Le informazioni contenute in queste note avevano lo scopo di escludere una soluzione positiva dell’istanza di scarcerazione temporanea. Per cui il direttore del carcere McFadden nella sua lettera alla segreteria del tribunale del 19 dicembre 2005 comunicava di “sospettare da tempo che Milosevic non segua il regime medico che gli è stato prescritto”, e segnatamente, che non assuma i preparati che gli sono stati prescritti bensì altri senza prescrizione. Al fine di stabilire se le cose stessero o meno così a Milosevic furono prelevati dei campioni di sangue, l’analisi dei quali confermò i sospetti. Inoltre il direttore del carcere comunicò che il medico penitenziario, per l’avvenire, “avrebbe declinato ogni responsabilità” sulla salute di Milosevic. E aggiunse che “né io, né lei (rivolto al segretario del tribunale) possiamo assumerci la responsabilità della salute di Milosevic”. Come si può vedere, i tre pubblici ufficiali principali e l’organo giudicante, i quali, in base alle regole dell’ICTY rispondono in prima persona della salute dei reclusi nel carcere del tribunale, scaricarono ogni responsabilità sulla salute di Milosevic. Ed è altrettanto evidente che quanto affermato nella lettera del direttore del carcere abbia carattere istruttorio, e non medico. A dire il vero, le analisi rivelarono quanto segue: “Nel sangue si rileva una bassa concentrazione di medicinali prescritti e una bassa concentrazione di medicinali non prescritti”. Senza alcuna spiegazione supplementare, il direttore del carcere conferma che tale responso è il risultato della macchinazione di Milosevic. Poi vedremo come una tale affermazione fosse priva di fondamento, ma intanto occorre ricordare che a una analoga conclusione giunse, oltre al direttore, anche il medico del carcere. Nella sua lettera del 6 gennaio 2006 Falke conferma quanto asserito dal direttore: “Le analisi hanno dimostrato che il soggetto assume quanto prescritto in quantità insufficiente, o non lo assume affatto” e che invece “assume preparati non prescritti né da me, né da altri”. Il tossicologo Ughes che aveva effettuato le analisi del sangue, pur con una serie di riserve, concluse che “si è in presenza di fondati motivi che portano a credere a un’assunzione non regolare dei medicinali prescritti. Il che può essere la causa della pressione alta”. E così non solo le autorità penitenziarie, ma anche i medici arrivano a conclusioni istruttorie. Tutti tranne uno. Nella sua relazione il dottor Toy indicò cinque possibili cause della bassa concentrazione nel sangue delle sostanze prescritte, nell’ordine: 1) Scarso assorbimento a livello gastrointerinale; 2) Controllo inadeguato sull’osservanza delle prescrizioni; 3) Interazione con altre sostanze; 4) Ridotto assorbimento degli enzimi; 5) Scambio eccessivamente rapido di sostanze del CYP2D6. Le ipotesi del dottor Toy appaiono elementari e, fra l’altro, non escludono altre possibilità. La domanda è: in che modo è stato possibile non prendere in considerazione queste ipotesi? La risposta è scontata. Poteva accadere solo in presenza di dolo. Prima della pubblicazione del referto del dottor Toy, Falke non aveva preso in considerazione nessun altra ipotesi che non fosse la mancata assunzione dei medicinali. Benché Falke non fosse abbastanza qualificato per trarre le conclusioni che ha tratto, nondimeno creò nella corte un’immagine negativa di Milosevic accusandolo di peggiorare a bella posta le proprie condizioni di salute per poter andare a curarsi all’estero. Ma la situazione era ancora più seria aldilà di qualifiche e preconcetti. Mi riferisco al dolo nel compimento dell’atto criminale. Il 12 gennaio del 2006 fu lo stesso Milosevic a richiedere un nuovo esame del sangue. Stavolta, l’assunzione dei medicinali prescritti da Falke avvenne sotto stretto controllo eppure l’esito fu lo stesso della volta precedente. Crollarono le affermazioni del direttore e, soprattutto, dei medici del carcere – Falke in testa. Ma la prova principe del dolo di questi personaggi fu che i nuovi fatti vennero tenuti nascosti al tribunale. Le autorità penitenziarie (il direttore e il suo vice) hanno tenuto continuamente a precisare nei loro dispacci al tribunale che l’assunzione di medicinali da parte degli imputati è sempre stata oggetto di grande attenzione, in particolar modo in relazione a Slobodan Milosevic. Tuttavia, nei 5 anni di reclusione di Milosevic, non sono stati in grado di portare un solo elemento di prova a sostegno dei sospetti, diventati poi accuse, che l’imputato non seguisse le cure prescritte. Pertanto, quanto asserito dai medici, dalla direzione del carcere, dalla segreteria e dalla procura in queste circostanze è risultato essere non solo infondato, ma mendace. Nei suoi rapporti al collegio giudicante Falke affermava altresì che Milosevic “assume preparati non prescritti”. Ma nel rapporto del tossicologo Ughes vengono indicati solo due preparati, il Diazepam e il Nordazepam. Gli avvocato incaricati hanno appurato che fu proprio Falke a prescrivere a Milosevic il Diazepam a metà ottobre 2005. L’altro, il Nordazepam, per ammissione del dottor Toy che compilò la nuova perizia, si origina nell’organismo umano proprio dal Diazepam. Infine, Ughes fa presente che la quantità di entrambi i preparati riscontrata nel sangue “è troppo esigua per un qualsiasi effetto farmacologico”. Se consideriamo che tutti e due i medicinali possono restare nel sangue per lungo tempo (diversi mesi) e che non sono in grado di interferire con la pressione alta (né di apportare benefici in caso di pressione alta) diventa evidente che ai danni di Milosevic è stata ordita una provocazione. Fatto confermato dalla mens rea di tutti gli attori di questo caso. Nella loro esposizione davanti alla corte, gli avvocati hanno tenuto a sottolineare che “in tutti i rapporti indirizzati al tribunale non ce ne è stato uno che abbia riportato informazioni sul fatto che il farmaco (indicato in ogni relazione come farmaco “non prescritto”) Diazepam era stato incontrovertibilmente prescritto a Milosevic dal dottor Falke: a) Per tutto il periodo di reclusione di Milosevic; b) Particolarmente nell’arco dei tre giorni alla metà dell’ottobre 2005”. “In mancanza di questa informazione la corte non ha potuto trarre le giuste conclusioni” così si sono espressi gli avvocati. Per dirla con toni moderati. Alla corte sono state fornite informazioni manipolate perché fosse indotta in inganno. E questa parte della macchinazione emerse con una evidenza tale, da far ammettere alla stessa corte che “l’imputato non assunse il Diazepam in contravvenzione a quanto prescritto”. Nonostante il palese fallimento, Falke e la segreteria provarono a giustificarsi. Ma, come avviene sempre in casi di spudorati falsi, la giustificazione fu ancora più ridicola. Falke afferma che, in effetti, l’ultima assunzione di Diazepam da parte di Milosevic avvenne non alla metà di ottobre, bensì il 7 novembre 2005, cioè nelle tre settimane a ridosso del prelievo di sangue. Da qui la versione assolutoria del segretario del tribunale: “In questo modo, il basso livello di Diazepam nel sangue di Milosevic non è correlato alla prescrizione di questo preparato da parte del dottor Falke il 15-17 ottobre 2005”. E questa è la risposta all’accusa degli avvocati al medico e alla segreteria di aver tenuto nascosto la prescrizione del Diazepam e che questo preparato non può essere definito “non prescritto”! La giustificazione del medico penitenziario e del segretario non fa altro che comprovare ulteriormente la loro malafede e pone nuove domande. Gli avvocati si accorsero che la data del 7 novembre 2005 non compare nella documentazione consegnata a Milosevic quando questi chiese di poter vedere tutti i referti medici. In seguito il medico e il segretario consegnarono alla corte il certificato medico con le medicine assunte da Milosevic. E questa versione differiva da quella consegnata a Milosevic. E la differenza riguardava proprio il Diazepam! Nella prima versione della copia all’assunzione di questo preparato si faceva riferimento come “continua ad assumere”, nella seconda versione (lo stesso documento cioè, ma la copia in possesso alla corte) vi si faceva riferimento come “su richiesta”. Falke indusse all’errore anche gli altri medici chiamati a redigere perizie, come lo stesso dottor Toy, il quale non è a conoscenza, come si evince dal suo rapporto, dell’assunzione da parte di Milosevic del Diazepam in data 7 novembre 2005 (fa riferimento solo al 15-17 ottobre di quell’anno). Del resto anche Ughes ignorava che a Milosevic fosse stata prescritta una benzodiazepina (in questo caso Diazepam) e prescritta da Falke in persona poco tempo prima. Come diretta conseguenza di quanto esposto, né Toy né Ughes osservarono l’azione del Diazepam assunto il 7 novembre del 2005. Siamo in presenza di fatti che dimostrano la premeditazione dell’atto criminale: falsificazione dei documenti presentati (è stato riscritto il certificato medico dei medicinali prescritti a Milosevic); omissione di informazioni essenziali; dichiarazioni mendaci; ostacolo agli avvocati nell’accertamento dei fatti. Il 7 marzo del 2006, a tre giorni dalla morte di Milosevic, ai giudici venne improvvisamente riferito che nel sangue di Milosevic (prelevato il 12 gennaio!!!) era stato riscontrato un farmaco non prescritto, il Rifampizin che, secondo il dottor Toy, è in grado di invalidare gli effetti degli altri medicinali prescritti per la cura della pressione alta. Finora nessuno ha ancora spiegato come mai la notizia della presenza del Rifampizin nel sangue di Milosevic sia stata tenuta nascosta allo stesso Milosevic e alla corte giudicante per ben 2 mesi (!). Finora la corte non ha ritenuto di dover chiedere ai collaboratori del tribunale e al dottor Falke che cosa li abbia costretti a non rivelare una informazione così importante. La chiusura del caso Milosevic al tribunale dell’Aia alla luce di tali circostanze, testimonia l’intenzione del tribunale di non voler accertare questa e molte vicende ancora. Un atteggiamento da responsabile del crimine o quantomeno da fiancheggiatore, nel ruolo di copertura degli esecutori. Correlando fatti e date è innegabile che la notizia della presenza del Rifampizin sia stata insabbiata in attesa del pronunciamento del tribunale sull’istanza di scarcerazione temporanea di Milosevic. Così, siamo in presenza di tutti gli elementi di diritto per l’apertura di un’inchiesta per la morte violenta del presidente Milosevic e lo svolgimento di un’indagine indipendente.
P.S.
Nel 2011 il tribunale per l’ex Jugoslavia ha impedito al generale Mladic di nominare Mezjaev suo avvocato. Alla base del rifiuto si rimandò all’attività di Mezjaev, definita “lesiva della reputazione del tribunale”.
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